Un demone è in noi, in tutti noi, in ogni essere umano; quella del demone probabilmente è la forma che assume quella parte di noi che turba il nostro essere umani: non la accettiamo, la rinneghiamo, eppure sentiamo dal profondo emergere grida strazianti di sfida, che fanno sentire deboli, che percuotono, che graffiano e urtano le nostre viscere, grida nostre.
Molti filosofi e intellettuali si sono scontrati con questa creatura e, dopo lunghe peregrinazioni nei più bui reticoli della loro mente, hanno ceduto e sono così caduti in balia di questi tumulti dell'anima.
Cos'è per me il diabete? A mio parere è la concretizzazione, l'incarnazione quasi, di questo demone: io ho il diabete.
All'inizio non l'ho accettato, poi l'ho combattuto, infine mi sono arreso e ho perso; Dio che fine aveva fatto? Dov'era quel Dio per il quale avevo tanto pregato? E così mi sentivo doppiamente turbato: mesto per quella sensazione d'abbandono di quel creatore potente ed esterno, straziato per quella creatura interna che corrodeva le mie vene, le mie arterie e i miei organi.
I primi tempi tutto questo era come una lotta con sé stessi: stancante, demotivante e soprattutto inutile, poiché ero certo che non ci si può sconfiggere, sebbene si conoscano estremamente bene le proprie paure e i propri limiti; sicuramente è un'impari lotta alla pari.
Dopo è successo qualcosa, come un terremoto che ha fatto riaffiorare quell'equilibrio che mi mancava, come un fiore in primavera che pur di uscire e farsi baciare dai raggi del sole è pronto a frantumare la roccia; il tutto scaturito da una parola di qualcuno... io proprio non ricordo chi... che quelle parole provenissero proprio dal demone, pentito e contrito per il rapporto che aveva stabilito con il suo ospite? Non so come sia andata, ma l'importante è che io abbia compreso una cosa fondamentale: il demone/IO seppur sbagliato, storto, faceva/O comunque parte di me; volevo accettarlo perché ritenevo che non avesse senso combattere contro sé stessi dal momento che può finire solo col farsi del male.
Per quanto riguarda il mio rapporto con Dio ora è sereno ed articolato, ma non è questo l'importante, perché anche un ragazzo-diabetico-laico può trovare la stessa risposta che ho trovato io e spero che questo mio testo possa servire a qualcuno: non mi importa di vincere, perché di gare col diabete non voglio farne, ora io e lui siamo una squadra e in due si fa molto di più.
Ora vivo con lui e lui con me, usciamo il sabato sera e ci divertiamo, l'ho presentato a tutti e posso dirmi sereno e in pace con me stesso: mi conosco, conosco i miei limiti e le mie potenzialità: soprattutto queste, perché conoscermi così in profondità non può essere altro che un vantaggio, un vantaggio che forse quei famosi e illustri intellettuali che combattevano contro sé stessi non conoscevano.. forse, se avessero saputo queste cose, avrebbero vinto loro.. ma forse non era nemmeno una gara.. comunque sia.. io sono diabetico.
L. C., 17 anni, diabetico.
Vincitore del concorso "Il diabete a colori" 2010